La Comunità ecclesiale diocesana ha ricordato il 50° giubileo sacerdotale di mons. Salvatore Genchi, Vicario generale, in Cattedrale con una solenne Concelebrazione Eucaristica, presieduta dall’Arcivescovo Mons. Luigi Renna, alla presenza di Mons. Salvatore Gristina, Vescovo emerito, Mons. Salvatore Pappalardo, Vescovo emerito di Siracusa, Mons. Giuseppe Schillaci, Vescovo di Nicosia, l’Abate dom Ildebrando Scicolone, di un gran numero di presbiteri, autorità civili e militari, e fedeli laici. Per volere di mons. Genchi il ricavato della colletta e delle offerte personali saranno devolute per portare a compimento il Laboratorio di malattie infettive presso l’Ospedale “Divina Provvidenza” di Luanda in Angola.

Di seguito il testo dell’omelia dell’Arcivescovo:

Eccellenze carissime,

carissimo don Salvatore,

carissimi fratelli e sorelle del popolo di Dio che è in Catania,

la gioia pasquale oggi sovrabbonda, perché ringraziamo il Signore Gesù che nei presbiteri, i ministri del Suo Amore, partecipi del Suo Sacerdozio, sono in mezzo a noi la Sua voce di Pastore bello, che guida la Chiesa e la conduce con amore nella storia.

Oggi ringraziamo il Signore per il dono fatto alla nostra Chiesa di mons. Salvatore Genchi, vicario generale della Arcidiocesi. In questi cinquant’anni di sacerdozio ministeriale, la sua esistenza è stata un dono per tante persone: la congregazione religiosa di don Calabria, dove si è formato e a cui è legato; l’Ordinariato militare dove è stato Vicario generale, manifestando grande attenzione a presbiteri e militari; la nostra Chiesa catanese, che continua a servire nel ministero gravoso di Vicario generale, portato avanti con saggezza e arricchito dall’offerta del suo sacrificio, e che esprime tanta paternità, verso tutti i battezzati e verso i presbiteri, molti dei quali ha seguito come padre spirituale nel Seminario. Anche l’Azione Cattolica, di cui è assistente unitario, gli è grata, per il servizio di promozione della formazione dei christifideles laici. Dalla chiesa di Chiesa di Cefalù, dove si trova la sua Pollina, è stato fatto dono a Catania di un presbitero che sta servendo questa Chiesa in questi svariati modi. E ringrazio te, caro fratello Salvatore, Arcivescovo emerito, per averlo scelto come Vicario generale.

Cinquant’anni di sacerdozio ministeriale sono un bel traguardo, che ci sollecita a considerare in che cosa consiste la maturità del presbitero, che se non è strettamente legata all’età, perché “presbitero” significa “anziano” e quindi persona “matura” per il ministero, caratterizzata da anni vissuti bene, in continuo stato di conversione, cresce.

La santa che festeggiamo oggi, Caterina da Siena, era molto esigente, come le donne e gli uomini di Dio, verso i ministri del Signore. È la stessa esigenza che il popolo di Dio manifesta in ogni tempo: vuole presbiteri maturi umanamente e spiritualmente, capaci di ascolto e di servizio, costantemente protesi al dono di sé. Santa Caterina, in una lettera a fra Raimondo di Capua, che si rallegrava di essere sfuggito al martirio, usa parole che lo riprendono severamente: “Non foste ancor degno di stare in sul campo di battaglia, ma come fanciullo ne foste cacciato indietro (…) Cattivello padre mio, quanto sarebbe stata beata l’anima vostra e la mia, se col sangue vostro voi aveste murata una pietra nella santa Chiesa per amore del Sangue di Cristo (…) Or gettiamo via i denti di latte e cerchiamo di mettere i denti forti dell’amore” (Lettera 100).

Sì, è vero, a volte noi presbiteri non dismettiamo i “denti di latte”, cioè viviamo una immaturità che non ci rende credibili, perché troppo occupati del nostro “io”. Abbiamo ascoltato l’invito del Signore Gesù: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt. 11,29). È il giogo del Vangelo, che ci chiede carità e che ci fa essere beati secondo le beatitudini proclamate dal Signore; è l’umiltà e la docilità di cuore, che ci rende “della stessa statura di Cristo”. Non è la statura dell’arrogante che spadroneggia sul gregge, né del superficiale che si sottrae ai suoi doveri e nella quale si può anche invecchiare in un’esistenza malvissuta. Umile è l’atteggiamento di Gesù davanti alla volontà del Padre; umile è il suo atteggiamento nei confronti degli uomini: “lineare, coraggioso, ma non violento: misericordioso, tollerante, pronto al perdono, ma anche severo” (B. Maggioni). Un atteggiamento maturo.

Maturità umana del presbitero; ma anche spirituale e quindi pastorale e teologica. Sarebbe interessante passare in rassegna queste dimensioni, ma non è il compito di una omelia. Voglio solo ricordare a me e a voi quale rapporto c’è tra maturità umana e fede. Scrive un formatore del Seminario ambrosiano: “Se dirò che “Ho fede, ma ho un brutto carattere”, intendo dire che le due cose non si implicano reciprocamente (…) la suddetta affermazione è anche di natura teologica: sostenere che non c’è relazione tra personalità (psicologica) e fede, è già fare teologia (fondamentale, morale, spirituale). Sostenere che la relazione con Dio non è mediata dalla personalità o non coinvolge la personalità, è un’affermazione teologica” (Stefano Guarinelli).

Un seminarista che cammina verso il presbiterato è chiamato a curare la sua crescita umana; un presbitero e un vescovo, un religioso, una religiosa e un genitore, sono chiamati a crescere in questa maturità, per divenire mite e umile di cuore: mite perché si lascia amare e plasmare da Dio, si sente nella Chiesa come nella sua casa, si lascia avvicinare dalla gente; umile perché sa lasciar partire, sa farsi da parte perché l’altro cresca nel Signore. E il celibato maturo di un prete è la ricchezza della sua paternità, che non abusa di nulla, che non ha atteggiamenti superficiali, predatori e ambigui, perché questi modi di fare nessun padre sano li ha nei confronti dei propri figli.

Mite e umile di cuore, come Gesù Cristo. Deponendo ogni giorno i “denti da latte”, come dice Santa Caterina: così il Signore ti ha dato di essere e ti darà ancora di essere, caro don Salvatore. Ed è questo che ti auguriamo: di crescere sempre più nella “statura di Cristo”, che è la maturità della vita cristiana e di ogni vocazione, e di cui godremo i frutti nell’eternità.

+ Luigi Arcivescovo

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