«Dopo aver percorso insieme questa strada, ce ne andiamo forse con qualche disagio; ma nella verità di chi percorre una Via, torniamo alle nostre strade consuete dopo essere passati da questa porta, la porta della Croce». Con queste parole l’arcivescovo Luigi Renna apre il discorso a conclusione della Via Crucis cittadina, svoltasi nella serata di venerdì 15 marzo.

Il momento di preghiera, a cui erano presenti l’arcivescovo emerito monsignor Salvatore Gristina e una vasta rappresentanza laicale, partendo dalla Cattedrale ha percorso via Etnea. Si è concluso all’interno della Villa Bellini: luogo diventato, suo malgrado, emblematico negli ultimi mesi a causa della violenza di gruppo che ha coinvolto una ragazzina tredicenne e il suo fidanzato.

«Chi prega sotto la Croce, chi viene battezzato nel nome della Croce, chi si decora con una Croce – afferma il presule – è chiamato a compromettersi con il Dio della Croce, che non accetta un talismano o un semplice segno identitario di una cultura che non può mai essere divisiva, ma sempre inclusiva. Accetta un segno di amore e redenzione: la Croce ci invita a compromettersi con le croci degli uomini e le donne di ogni tempo».

E aggiunge: «È croce la vita non nata, la vita dei bambini che muoiono sotto i bombardamenti, è croce quella di chi è prigioniero e – facendo riferimento al recente naufragio nelle acque mediterranee – è croce quella dei sessanta morti che non hanno visto le rive dell’Europa. È croce la violenza subita in questa Villa, e in altri luoghi dove delle ragazze sono vittime della follia del branco. Sono croci che Cristo ha voluto fare Sue – aggiunge – e noi non possiamo portare la Croce al collo o metterla nelle nostre case, senza che queste croci diventino anche nostre».
Nel suo discorso conclusivo, monsignor Renna rimarca ancora una volta l’importanza delle stazioni invisibili «che disseminano la nostra Catania. Cristo prende la sua e queste altre croci».
Il monito del vescovo si snoda su tre “certezze”: «Dio si compromette alla nostra natura attraverso la Croce; la croce che noi portiamo ci fa compromettere con Dio e con l’umanità. Ma la terza certezza con cui ci congediamo – continua – è che la Croce non è per noi solo simbolo di morte: è strumento di redenzione, perché Cristo è risorto. È stato risuscitato. Non come un bruco che diventa farfalla. La risurrezione, per la fede cristiana, è molto di più: è Dio che rotola macigni e resuscita speranza nell’umanità, e vuole che questa si impegni affinché altri uomini e donne risorgano dalla loro mancanza di dignità. Quello di Cristo è un corpo umiliato a cui Dio ridona la vita e la Risurrezione».

Congedandosi, Renna esorta a guardare alla Croce di Cristo risorto, «che ci dona speranza e ci dice che vale la pena donarsi, sacrificarsi. L’ultima parola non è della morte e della violenza: è dell’Amore, che vince e ci rende creature nuove, che sanno fare della Carità la legge della loro vita. E questo amore trionfi nella nostra Catania».

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