Richieste di una riflessione su Giuseppina Faro in preparazione alla solenne Eucaristia che presiederà a Pedara il nostro Arcivescovo il 12 maggio in prossimità dell’anniversario della nascita al Cielo (24 maggio 1871) della “beata Peppina”, abbiamo aderito con gioia perché tante sono le affinità che ci uniscono. In un primo tempo avevamo pensato di condividerne una di queste, e precisamente lo zelo eucaristico, ma dando un’occhiata al calendario… l’ispirazione è andata oltre.

Liturgicamente è la solennità dell’Ascensione di Nostro Signore. Quanto di più opportuno. Il testo paolino (Ef 4,1-13) proposto dalla seconda lettura, ci assicura che «asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini». Ricordare la morte di chi chiude gli occhi in grazia di Dio è contemplare tutto questo. Gesù Risorto, liberando l’umanità dalla prigionia del peccato, ha reso possibile – come ci fa pregare la colletta – «di godere sempre della sua presenza accanto a noi sulla terra e di vivere con lui in cielo». Anche se l’attenzione è giustamente attratta dal Mistero che si celebra, tuttavia il cuore si è rivolto anche al ricordo più intenso che la società, nella seconda domenica di maggio, rivolge alla figura della mamma. Non è una festa religiosa, ma comunque significativa perché associata al mese dedicato alla Madonna, la nostra Mamma celeste e, quindi, un po’ meno “profana” se l’attenzione alla mamma diventa riconoscente preghiera a Colui che ce l’ha donata.

Ecco allora che vogliamo conoscere meglio la mamma di Peppina. La famiglia Faro era tra le più agiate e influenti di Pedara. La signora Teresa Consoli, donna di grande religiosità, proveniva da un’altra famiglia benestante del paese. Come attesta il biografo padre Felice Maria Caruso, «i genitori di Giuseppina, nonostante la loro posizione sociale, furono persone molto pie e attente ai bisogni dei poveri». Non ostacolarono mai la figlia facendosi, a loro volta, coinvolgere e ammaestrare ad un sempre maggiore impegno cristiano sostanziato di amore a Dio e al prossimo. I genitori, ai quali Peppina era sempre obbedientissima, gioivano di quanto faceva la figlia convinti della sua santità, così come uno zio che non esitava a dire «ho una nipote santa».

GIUSEPPINA FARO CON LA MAMMA NELLE “STAMBERGHE DEI POVERELLI”

 Peppina, che nella sua opera caritatevole e assistenziale verso i poveri e i malati distribuiva molti beni del patrimonio familiare, ebbe pure il permesso, come attestato da mons. Giuseppe Coco Zanghì che ne tenne l’elogio funebre nel primo anniversario della morte, di trasformare la sua casa «in un ritrovo di anime pie» che «l’accompagnavano alla Chiesa ed alle stamberghe dei poverelli». Tra queste, tante volte vi era pure la mamma. Di sicuro complice della figlia, quasi madre spirituale per certi versi, oltre che genitrice naturale, intuì la veridicità del desiderio di consacrarsi al Signore assecondandone il desiderio di una “visibilità” esterna; infatti la giovane le chiese ben presto di poter «lasciare le vesti signorili e poter vestire da umile divota». Il Caruso tramanda che la signora Teresa diede alla figlia il permesso di vestire secondo l’uso delle “bizzocche”, ossia delle monache di casa, solo dopo «due anni di preghiere e di prove», molto probabilmente non per dissuaderla, quanto piuttosto per rassodare in lei questo anelito accompagnandola ad una crescente consapevolezza fino anche a consentirle, anni dopo, di entrare nel monastero di San Giuliano a Catania dal quale dovette uscire a malincuore per i motivi di salute che la portarono alla morte a soli 24 anni.

Dietro a tanti santi e sante c’è sempre una mamma santa. Basti pensare a Monica, mamma di Agostino, a madonna Pica, mamma di Francesco d’Assisi, a Margherita Occhiena, mamma di Giovanni Bosco o alla signora Assunta, mamma di Maria Goretti, e si potrebbe continuare. In una lettera scritta dal dott. Antonio Papaldo, appartenente a una delle più antiche famiglie pedaresi, e datata Roma 24 gennaio 1978, troviamo una pennellata proprio sulla signora Teresa: «Forse il ricordo più interessante è quello della Madre di Giuseppina. Era vecchissima e venerata da tutto il paese come donna molto caritatevole. Mi voleva bene e si divertiva tanto a sentire parlare quel piccolo fanciullo che io ero».  

Sostiamo velocemente su alcune caratteristiche: il rimando sotteso non tanto dell’età, quanto alla saggezza di questa donna poiché, nel ricordo del Papaldo, la vecchiaia è associata alla venerazione, una attestazione unanime in virtù dell’essere caritatevole, come già e insieme alla figlia Peppina. Ancora: una donna che sapeva volere bene, che entrava in empatia, che sapeva ascoltare tutti sempre pronta a rispondere alle domande di quanti volevano abbeverarsi all’acqua sorgiva da cui era scaturita tanta santità. Infine la capacità di ridere nonostante il lutto che portava in cuore – e per una mamma addolorata gli anni non passano – di farsi piccola con i piccoli; indubbiamente l’eredità lasciatale dalla figlia era prima di tutto quella grande serenità che viene dall’accettare sempre con convinta adesione il divino volere.

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