E’ stato pubblicato, qualche settimana fa, dall’ISTAT il Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile (BES) 2024, giunto oramai alla sua XI edizione. Questo appuntamento annuale offre l’opportunità di osservare la situazione socio-economica del nostro Paese da una prospettiva ampia, che non si basa solamente sull’andamento del PIL, e quindi sul solo benessere economico, ma comprende anche   indicatori relativi a condizioni di salute, istruzione, partecipazione sociale e politica, benessere soggettivo dei cittadini, nonché condizioni ambientali e qualità dei servizi. Questo rapporto è fruibile in diverse modalità: dalla lettura dell’e-book scaricabile dal sito ISTAT, alla facile consultazione di dati regionali e di molti dati provinciali su cruscotto (dashboard) in modalità animata. Esso permette di superare l’antinomia tra crescita e sviluppo soffermandosi su fattori fondamentali, quali istruzione, salute e ambiente, rapporti cittadino-istituzioni, che costituiscono le determinanti della crescita economica di lungo periodo di un paese ma anche del benessere individuale nella sua accezione più ampia.

A un più elevato titolo di studio corrisponde sempre un vantaggio

Quest’anno, il Rapporto dedica particolare attenzione al ruolo che le disuguaglianze per livello di istruzione hanno su altre dimensioni del benessere: la principale conclusione è che a un più elevato titolo di studio corrisponde sempre un vantaggio, in tutti gli indicatori economici, sociali e culturali considerati. Un titolo di studio più elevato è un’assicurazione che riduce il rischio di non trovare occupazione e di cadere in povertà, ed è uno strumento essenziale per acquisire una maggiore consapevolezza di sé, sia come persona, stimolando la cura della propria salute fisica e psichica e coltivando interessi culturali, sia come cittadino, stimolando la partecipazione sociale e politica. Per la prima volta, inoltre, nel Rapporto si mettono in relazione i dati sulla mortalità con i livelli di istruzione: emerge che un più elevato livello di istruzione riduce anche il rischio della cosiddetta “mortalità evitabile”, cioè di quelle morti che possono essere evitate se si interviene tempestivamente, una volta accertata la patologia, o se si effettuano misure di prevenzione: il tasso di mortalità evitabile è pari, infatti, a 39,6 decessi per 10 mila residenti nella popolazione con un titolo di studio pari o inferiore alla licenza elementare, e scende di quasi il 50 per cento, al 20,3, tra chi è laureato. Tutte le evidenze segnalano il persistere di divari territoriali rilevanti,che si ripercuotono su molti indicatori di benessere. Facciamo solo due esempi, particolarmente significativi.

Dispersione scolastica, le due Italie

Nel 2023, si registra un andamento positivo, sia a livello nazionale sia in Sicilia, dell’indicatore di dispersione scolastica, misurato dalla percentuale di coloro che nella fascia di età 18- 24 anni escono dal sistema di istruzione e formazione senza avere acquisito un diploma di scuola superiore. A livello nazionale, la percentuale nel 2023 è al 10,5%, inferiore di un punto rispetto al 2022, e di quasi 4 punti rispetto al 2018: l’obiettivo del 9 % entro il 2030, individuato a livello europeo, sembra quindi ormai alla portata. Un miglioramento si registra anche in Sicilia, che passa dal 18,8% nel 2022 (il peggiore fra tutti i dati regionali) al 17.5% di dispersione; di fatto però, se si considera il periodo 2018-2023, il divario tra il dato nazionale e quello siciliano rimane pressoché costante, pari a circa 7 punti percentuali.  Anche il dato relativo ai NEET (giovani di 15-29 anni che non studiano e non lavorano) nel 2023 è in diminuzione sia a livello nazionale che regionale pari rispettivamente al 16,1% e al 27,9%, ben lontano, però, in questo caso, dall’obiettivo europeo del 9% entro il 2030. Dal 2018 al 2023, a livello nazionale si è passati dal 23,2 al 16,1%, mentre in Sicilia dal 38,4 al 27,9%: il divario tra dato regionale e nazionale si è ridotto in misura modesta e rimane ancora molto rilevante.

E’ auspicabile che la centralità attribuita alla variabile “istruzione” nel Rapporto BES 2024, che ovviamente andrebbe ancora meglio declinata tenendo conto non solo dell’acquisizione del titolo di studio ma anche del livello di competenze acquisite durante gli studi, sia percepita anche dai decisori politici e si traduca in appropriate misure di intervento, che guardino non solo al raggiungimento finale dell’obiettivo aggregato ma anche a come questo si raggiunge, e ai divari regionali.

Peraltro, non bisogna sottovalutare il ruolo che questi indicatori sociali hanno già oggi nella programmazione dei bilanci pubblici e nella negoziazione a livello europeo. Dal 2017, infatti, una Relazione sull’andamento degli indicatori di benessere equo e sostenibile –ivi compreso quello sulla dispersione scolastica– deve accompagnare il Documento di Economia e Finanza (DEF), indicando anche le politiche da adottare per il raggiungimento dei relativi obiettivi. Dalla lettura della Relazione 2024, e, in particolare, dalle previsioni sull’indicatore di dispersione si comprende come per il periodo 2023-26 non si prevedano miglioramenti significativi. Dall’analisi delle determinanti dell’abbandono scolastico–bassi livelli di istruzione e di occupazione in ambito familiare– si comprende come gli interventi più appropriati dovrebbero coinvolgere non solo le scuole ma anche altri attori sociali, come i Comuni e i soggetti del terzo settore. Tutte queste istituzioni dovrebbero agire in modo coordinato per fronteggiare le diseguaglianze nell’accesso all’istruzione, che rappresentano lacausa fondamentale del persistere delle diseguaglianze regionali e sociali. 

Tiziana Cuccia *Università di Catania; GRInS

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