
Papa Leone XIV, il giorno dopo la sua elezione, ha spiegato ai cardinali la scelta di questo nome. Ha voluto richiamarsi al Pontefice della Rerum Novarum (15 maggio 1891), Leone XIII, il quale con la sua grande enciclica sociale, coraggiosa e lungimirante, volle dare una risposta alla prima grande questione sociale. Oggi, ha detto Leone XIV, la Chiesa deve rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro. E di fronte a queste sfide, ha aggiunto il Pontefice, la Chiesa offre il suo patrimonio di Dottrina sociale.
Nelle sue linee principali la Rerum Novarum affrontava le problematiche dei radicali mutamenti avvenuti nel campo politico, economico e sociale, ma anche nell’ambito scientifico e tecnico, oltre al multiforme influsso delle ideologie dominanti. Già dai primi paragrafi, denunciava che si era “accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà”, e i proletari erano ridotti “in assai misere condizioni, indegne dell’uomo” (vd R.N. nn 1,2).
La Rerum Novarum di Leone XIII e l’impegno dei preti sociali
Il testo esaminava in modo organico la questione operaia, il conflitto tra il capitale e il lavoro, con i suoi temi centrali come la difesa della dignità della persona umana, il giusto salario, gli orari di lavoro, il diritto di associazione per i lavoratori, il diritto della proprietà privata. La Rerum Novarum ha messo in moto un’intensa attività cristiana in campo sociale, ispirando l’impegno di molti laici e di quei preti cosiddetti “sociali”, tra cui emerge don Luigi Sturzo. Il quale, a Caltagirone, nel discorso del 1903 su Leone XIII e la civiltà moderna, affermava: “Destò […] gran meraviglia quando questo vecchio di circa 82 anni, nel 1891 pubblicò l’enciclica Rerum Novarum sulla condizione degli operai”, che sembrò “quasi socialistica”, sia ai governi come anche a tanti ambienti cattolici, nei quali non penetrò subito. L’enciclica leoniana proponeva, aggiunge Sturzo, “la parola geniale perenne della chiesa, rivolta ai cattolici militanti e non militanti, a popolo e a governanti, a poveri e a ricchi, atutti”, richiamando “le sublimi considerazioni del diritto cristiano” di fronte al tumulto “di plebi incomposte”. Così inizia “l’interesse della chiesa per l’attuale questione sociale”, con il travaglio del mondo cattolico ad accettare la nuova visione di Leone XIII. A quel tempo, infatti, molti escludevano che la Chiesa avesse il diritto-dovere di intervenire per proclamare le condizioni fondamentali della giustizia nelle varie congiunture economiche e sociali. “Prevaleva, infatti, una duplice tendenza: l’una orientata a questo mondo ed a questa vita, alla quale la fede doveva rimanere estranea; l’altra rivolta verso una salvezza puramente ultraterrena, che però non illuminava né orientava la presenza sulla terra”. Leone XIII, con la sua enciclica “conferì alla Chiesa quasi uno «statuto di cittadinanza» nelle mutevoli realtà della vita pubblica, e ciò si sarebbe affermato ancor più in seguito.
In effetti, per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano […]”, così evidenzia Giovanni Paolo II, nella Centesimus annus (1 maggio 1991), commemorando i cento anni della enciclica suddetta. Leone XIII, sulle orme dei predecessori e di una lunga tradizione della Chiesa, risalente ai Padri, stabiliva un paradigma permanente per la Chiesa: essa ha la sua parola da dire di fronte a determinate situazioni umane, individuali e comunitarie, nazionali e internazionali, per le quali formula una vera dottrina, un corpus, che le permette di analizzare le realtà sociali, di pronunciarsi su di esse e di indicare orientamenti per la giusta soluzione dei problemi che ne derivano (cf C.A.). I principi affermati da Leone XIII saranno ripresi, approfonditi e attualizzati nei mutevoli contesti storici dalle encicliche sociali dei Papi successivi, costituendo quella che sarebbe stata chiamata «dottrina sociale» della Chiesa. Infatti, la ricca linfa, che sale dalla radice della Rerum Novarum, non solo non si è esaurita col passare degli anni, ma anzi è diventata più feconda.
Dentro questa cornice, il riferimento esplicito di Papa Leone XIV alla Rerum Novarum ci permette di pensare una nuova stagione per un ulteriore rilancio della Dottrina sociale con cui la Chiesa potrà stare nella Storia con amore, affrontando le sfide delle res novae, come la povertà diffusa, il lavoro povero o che non c’è, una finanza con il suo dio-denaro, le delicate e complesse questioni legate all’Intelligenza artificiale.
Più volte ho discusso con Piero Sapienza dell’ enciclica “De rerum novarum” di Leone XIII, concordando con l’ impostazione di fondo, per quei tempi avveniristica. Qualche remora c’è l’ ho sulla “Graves de communi”, che presuppone la scelta cristiana come fondamento. Penso, infatti, che la laicità non comporti necessariamente una impostazione sbagliata, purché, ovviamente, improntata a validi valori morali e sociali. Concludendo, condivido la scelta di papa Leone IV, essendo d’accordo sulla necessità di valorizzare il lavoro in tutti i suoi aspetti e plaudo a chi, come Piero Sapienza, metta in evidenza tutto ciò. Dobbiamo pensare al lavoro come fonte di vita della società, ma non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e valoriale.
Naturalmente intendevo scrivere Leone XIV.