
Inizio di settembre: il vero capodanno per tutte le persone che lavorano a scuola. Comincia l’anno scolastico, ci si trova dopo la pausa estiva con i vecchi e con i nuovi. I corridoi e le aule sono ancora vuoti, ma come in attesa: sembrano già risuonare dei passi dei bambini e delle risate delle bambine. Degli studenti più grandi si sentono quasi le corse e le voci allegre e sguaiate, o si intravedono gli sguardi timidi e timorosi di qualcuno. Per ora la campana segna ritmicamente ore non ancora riempite. Gli edifici scolastici ripresentano le solite problematiche non risolte, avrebbero tutti necessità di una bella sistemata e di qualche manutenzione straordinaria. Anche nelle scuole interessate da lavori di ammodernamento ci sono ritardi o sviste.
Non lasciarsi sopraffare dai progetti
Sono giorni di fervidi preparativi e di progetti: già ora si compila il piano delle attività da qua fino a giugno e i docenti programmano la didattica e le iniziative salienti dell’anno avvenire. Sono i giorni in cui si immagina: si auspicano miglioramenti, si cerca la via più agevole per realizzare l’idea di scuola che si desidera. È ancora tutto possibile.
Poi nel tempo qualcosa si perderà per strada, o si dovranno modificare le aspettative. E va bene così.
L’inizio però porta con sé qualcosa di gioioso e bisogna approfittarne. Come dirigente scolastica, sarebbe abbastanza facile farsi sopraffare da tutto quello che non va, che non funziona, da tutti i problemi che ognuno riversa in presidenza, desideroso di ricevere la ricetta per risolvere magicamente tutto (spoiler: non c’è). E sarebbe facile anche limitarsi a garantire la correttezza delle procedure burocratiche, snocciolando il consueto ordine del giorno del primo collegio docenti, copiato e incollato dall’anno precedente.
Ricentrarsi sul compito educativo
Ma si perderebbe la possibilità di ricentrarsi e di porre a tema il compito che le persone di scuola hanno, ognuno con il suo ruolo. Per questo, è una buona idea cominciare ricordandosi di questo compito, magari leggendo insieme una frase che possa fare da augurio e da guida: “Discutendo con tante amiche e amici che insegnano, so quanto sia difficile dare vita in questo tempo a piccole comunità capaci di ascolto reciproco. Eppure siamo chiamati a farlo. Siamo chiamati ogni giorno a costruire nelle nostre classi frammenti di partecipazione attiva e di democrazia, in una società che sembra sempre più incapace di appassionarsi alla discussione, al confronto ragionato e all’approfondimento serio dei problemi. La scuola deve essere un po’ meglio della società che la circonda, se no cosa ci sta a fare?” (Franco Lorenzoni, I bambini ci guardano. Una esperienza educativa controvento, Sellerio 2019).
Ascolto, partecipazione attiva, approfondimento
In queste parole c’è l’idea di scuola come piccola comunità capace di ascolto reciproco: sono diverse le scuole interessate da dimensionamenti, riorganizzazioni e cambiamenti vari e l’ascolto reciproco è la chiave per trovare una nuova identità. C’è anche l’indicazione di un fine a cui tendere: favorire la partecipazione attiva, educare all’approfondimento mentre tutto intorno ci spinge alla banalizzazione e all’uniformazione a un pensiero dominante.
“Se educare è letteralmente tirare fuori, – dice Lorenzoni in un altro libro – sostenere e stare vicino a chi cerca di scoprire ciò che ha dentro e ciò che il mondo e i diversi linguaggi evocano in lui, è arduo farlo se non siamo disposti anche noi a tirar fuori qualcosa che cova al nostro interno, superando la paura di metterci in gioco.” (da Educare controvento. Storie di maestre e maestri ribelli, Sellerio 2023).
Per questo abbiamo voluto cominciare così, ricordandoci cosa ci stiamo a fare: tirare fuori ciò che gli studenti hanno dentro, ciò che portano come vissuto, sostando sulle loro domande, ascoltandole e sostenendole e in una relazione viva e incoraggiante.