
Catania si è trasformata in un punto di incontro per migliaia di persone accorse a sostenere la partenza della floatilla umanitaria diretta a Gaza o decise comunque a manifestare per la pace. Il 6 settembre una grande manifestazione cittadina, poi una carovana della pace hanno unito associazioni, attivisti, cittadini comuni e rappresentanti del mondo religioso in un coro collettivo per la giustizia, la pace e la dignità dei popoli. Alla manifestazione cittadina sventolavano bandiere palestinesi, ma il messaggio che attraversava la piazza andava oltre i confini: eravamo la voce di tutti quei popoli che oggi non ne hanno più una. I cori chiedevano la fine delle guerre, il rispetto dei diritti umani e l’ascolto da parte dei governi. Un grido forte ma chiaro: «Non siamo fascisti, non siamo antisemiti. Vogliamo solo la pace». “Il più grande aiuto umanitario mai esistito” così è stato definito, una carovana del mare che porta con sé cibo, medicine, beni di prima necessità ma anche un messaggio politico e morale: rompere l’assedio, abbattere i muri dell’indifferenza, ridare respiro a una popolazione stremata. Il porto di Catania, crocevia di storie, partenze e arrivi, si è fatto simbolo di un Mediterraneo che non separa, ma unisce. E giovedì 11 settembre la partenza della piccola flotta umanitaria da Siracusa.
Artigiani e architetti di pace
«La guerra distrugge ogni attività, è la negazione del lavoro, e viene preparata dalla negazione dei diritti. La pace pone problemi etici al lavoro di chi produce armi, che debbono avere come unica finalità la difesa. La politica deve vigilare attentamente sul commercio delle armi. Infine la pace la si prepara con una visione economica che non divide il mondo, ma che cerca, attraverso accordi e trattati multilaterali, relazioni tra Paesi improntate ad equità e giustizia». Un appello, quello dell’arcivescovo Renna alla maratona della Pace organizzata dalle Acli, che chiede non solo un cessate il fuoco, ma una nuova prospettiva di convivenza basata sull’equità.
Le manifestazioni di Catania non sono state solo un momento di denuncia, ma anche di costruzione: un seme piantato nel Mediterraneo. Tra i canti, le bandiere e i discorsi, si respirava un senso di responsabilità collettiva. Perché la pace non è un concetto astratto, ma una pratica quotidiana, fatta di scelte politiche, economiche e umane. L’appello lanciato da Catania è chiaro: i governi non possono più restare sordi. Non possiamo più permettere che popoli interi vengano condannati al silenzio o alla guerra. La flottilla partita dal Mediterraneo porta non solo aiuti materiali, ma una promessa: quella di non smettere di credere in un mondo diverso.