Don Antonino De Maria

La comunione ecclesiale è un vincolo, una relazione vitale non un sentimento o più di un sentimento. Ci precede perché tutti nasciamo, con il battesimo, e siamo innestati in essa dalla sua stessa fonte che è Cristo, morto e risorto per noi. Essa non si costruisce come un ideale cui tendere, per cui poiché è giusto essere in comunione mi sforzo di esserlo, con gli altri battezzati, i fratelli di comunità o gli aderenti al gruppo o tra i preti.

Questo il mondo non lo può capire perché non si riconosce in un prima che lo precede ma è fine a se stesso, per questo cerca ideali, visioni che lo conservino al meglio e al quale tutti, per un dovere di conservazione, sono costretti o volontariamente aderiscono.

Per questo mentre il cristiano diventa ciò che è, il mondo cerca forme per mantenere il suo fragile esserci. Queste forme si chiamano ideologie, progetti di mercato, visioni che hanno bisogno di continue rivoluzioni per convincere la maggioranza a tirare la minoranze dentro questo processo. Il potere è ciò che detiene questo processo, lo codifica, ha la forza di renderlo desiderabile, ideale appunto.

Il cristiano è generato, per cui il suo essere e il suo significato, il suo valore sono dati, sono dono il cui unico fascino sta nella corrispondenza con il mio essere, che a sua volta è dato, non diviene secondo l’estemporaneità di un desiderio che pretende di essere sorgivo mentre, in realtà, è suscitato dalla continua tensione che l’ambiente in cui vive lo co-stringe, lo provoca. Oggi questo è talmente evidente nella moda, nell’influencer, nel mondo dei media, nei rapporti: se vuoi esistere, giacché non sei, devi trovarti un modo per adeguarti, per conformarti, per visibilizzarti agli occhi del gruppo al quale vuoi appartenere. Esisti nel momento in cui gli altri si accorgono di te e gli altri si accorgono di te perché somigli loro, almeno nelle forme, per poi assumerne la mentalità e l’ideologia.

Pensiamo a questo quando parliamo di vivere la comunione ecclesiale, la comunione tra presbiteri, la fraternità sacerdotale, di cui tanto parliamo? È ancora così, anche dentro la Chiesa, che si sviluppano le nostre relazioni? Potrei rispondere a queste domande ma le lascio aperte perché se si vuole si cerchi una risposta, personale e comunitaria.

Pongo solo un testo per noi presbiteri che non diamo certo, spesso, una buona testimonianza di comunione e di fraternità. È un testo del Concilio non del Codice che pure ne è espressione:

“Tutti i presbiteri, costituiti nell’ordine del presbiterato mediante l’ordinazione, sono uniti tra di loro da un’intima fraternità sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi al cui servizio sono ascritti sotto il proprio vescovo. Infatti, anche se si occupano di mansioni differenti, sempre esercitano un unico ministero sacerdotale in favore degli uomini. Tutti i presbiteri, cioè, hanno la missione di contribuire a una medesima opera, sia che esercitino il ministero parrocchiale o sopraparrocchiale, sia che si dedichino alla ricerca dottrinale o all’insegnamento, sia che esercitino un mestiere manuale, condividendo la condizione operaia–nel caso ciò risulti conveniente e riceva l’approvazione dell’autorità competente–, sia infine che svolgano altre opere d’apostolato od ordinate all’apostolato. È chiaro che tutti lavorano per la stessa causa, cioè per l’edificazione del corpo di Cristo, la quale esige molteplici funzioni e nuovi adattamenti, soprattutto in questi tempi. Pertanto è oltremodo necessario che tutti i presbiteri, sia diocesani che religiosi, si aiutino a vicenda in modo da essere sempre cooperatori della verità. 

Di conseguenza ciascuno è unito agli altri membri di questo presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità: il che viene rappresentato liturgicamente fin dai tempi più antichi nella cerimonia in cui i presbiteri assistenti all’ordinazione sono invitati a imporre le mani, assieme al vescovo che ordina, sul capo del nuovo eletto, o anche quando concelebrano unanimi la sacra eucaristia. Ciascuno dei presbiteri è dunque legato ai confratelli col vincolo della carità, della preghiera e della collaborazione nelle forme più diverse, manifestando così quella unità con cui Cristo volle che i suoi fossero una sola cosa, affinché il mondo sappia che il Figlio è stato inviato dal Padre.” Presbiterorum Ordinis 8

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