Durante il tempo di Quaresima l’Arcivescovo Mons. Luigi Renna, per quattro mercoledì consecutivi, 1-8-15-22 marzo 2023, offre alla comunità diocesana spunti di riflessione attraverso delle Catechesi che affrontano il tema: Da Babele a Gerusalemme: costruire la città dell’uomo a misura d’uomo.

È notissimo il passo del libro XIV dell’opera “La Città di Dio” di Sant’Agostino: “Due diversi amori generarono due città: l’amore di sé fino al disprezzo di Dio generò la città terrena; l’amore di Dio fino al disprezzo di sé generò la città celeste”. La Città di Dio e la città dell’uomo non sono due aggregati urbani diversi, collocati in un luogo determinato: esse indicano piuttosto due modi di vivere nella città, uno animato dall’amore di Dio, che agisce e ordina tutte le cose secondo il progetto divino, mentre l’amore egoistico finalizza tutto al potere e al profitto. Queste due città convivono nella stessa città, cioè a Catania, come a Palermo, a Paternò, dove ci sono insieme la città dell’uomo e quella di Dio, ossia persone che vivono edificando la loro cittadinanza nell’amore, e persone che edificano una città violenta, caratterizzata da scarso o nessun amore al bene comune. In un altro passaggio molto famoso, S. Agostino scrive: “In assenza di giustizia, cosa sono gli stati se non grandi bande criminali?” (IV,4) Ciò che fa di una città un luogo vivibile è il rispetto della giustizia e dei diritti di tutti!

Oggi ci fermiamo a riflettere sull’esempio della città-simbolo dominata dall’egoismo secondo la Bibbia. Se ci guardiamo attorno vediamo che questa città può essere benissimo quella in cui viviamo, perché in essa notiamo che si afferma tanto male; ma se facessimo questa considerazione semplicistica, trascureremmo il tanto bene in essa presente. La Bibbia ci presenta nel libro dell’Apocalisse, l’ultimo delle Sacre Scritture, la città esemplare nel male, Babilonia.

Babilonia è stata una grande città, costruita in Asia minore sulle rive del fiume Eufrate, responsabile dell’oppressione e della deportazione degli Ebrei tra il secolo VIII e VII a.C. Ma quando ne parla il libro dell’Apocalisse, scritto durante la persecuzione dei cristiani, dietro il nome di Babilonia, che allora era ormai in rovina, si nasconde il nome delle città di Roma, responsabile della morte di tanti martiri. Perché diciamo che è Roma? Ci sono tanti indizi che nel libro dell’Apocalisse fanno pensare a queste città, che ad esempio, viene paragonata ad una donna che cavalca una bestia che ha sette teste, cioè i sette colli della capitale dell’impero (17,8). La città di Roma incarna un potere disumano e demoniaco, che è responsabile di guerre e catastrofi.

Ascoltiamo il brano del libro dell’Apocalisse al capitolo 18, che presenta la caduta di questa città: in queste parole troviamo il lieto annuncio che questo luogo di male non dominerà in eterno, ma anche la descrizione di ciò che può fare di una città, attraverso il modo di agire dei suoi cittadini, un luogo malvagio.

1 Dopo ciò, vidi un altro angelo discendere dal cielo con grande potere e la terra fu illuminata dal suo splendore.
2 Gridò a gran voce:
«È caduta, è caduta Babilonia la grande
ed è diventata covo di demòni,
carcere di ogni spirito immondo,
carcere d’ogni uccello impuro e aborrito
e carcere di ogni bestia immonda e aborrita.
3 Perché tutte le nazioni hanno bevuto del vino
della sua sfrenata prostituzione,
i re della terra si sono prostituiti con essa
e i mercanti della terra si sono arricchiti
del suo lusso sfrenato».
4 Poi udii un’altra voce dal cielo:
«Uscite, popolo mio, da Babilonia
per non associarvi ai suoi peccati
e non ricevere parte dei suoi flagelli.
5 Perché i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo e Dio si è ricordato delle sue iniquità.
6 Pagatela con la sua stessa moneta,
retribuitele il doppio dei suoi misfatti.
Versatele doppia misura nella coppa con cui mesceva.
7 Tutto ciò che ha speso per la sua gloria e il suo
lusso, restituiteglielo in tanto tormento e afflizione.
Poiché diceva in cuor suo: Io seggo regina,
vedova non sono e lutto non vedrò;

8 per questo, in un solo giorno, verranno su di lei questi flagelli: morte, lutto e fame; sarà bruciata dal fuoco, poiché potente Signore è Dio
che l’ha condannata».
9 I re della terra che si sono prostituiti e han vissuto nel fasto con essa piangeranno e si lamenteranno a causa di lei, quando vedranno il fumo del suo incendio, 10 tenendosi a distanza per paura dei suoi tormenti e diranno: «Guai, guai, immensa città, Babilonia, possente città;
in un’ora sola è giunta la tua condanna!».
11 Anche i mercanti della terra piangono e gemono su di lei, perché nessuno compera più le loro merci: 12 carichi d’oro, d’argento e di pietre preziose, di perle, di lino, di porpora, di seta e di scarlatto; legni profumati di ogni specie, oggetti d’avorio, di legno, di bronzo, di ferro, di marmo; 13 cinnamòmo, amòmo, profumi, unguento, incenso, vino, olio, fior di farina, frumento, bestiame, greggi, cavalli, cocchi, schiavi e vite umane. 14 «I frutti che ti piacevano tanto,
tutto quel lusso e quello splendore
sono perduti per te, mai più potranno trovarli».
15 I mercanti divenuti ricchi per essa, si terranno a distanza per timore dei suoi tormenti; piangendo e gemendo, diranno: 16 «Guai, guai, immensa città,
tutta ammantata di bisso, di porpora e di scarlatto,
adorna d’oro, di pietre preziose e di perle!

17 In un’ora sola è andata dispersa sì grande ricchezza!». Tutti i comandanti di navi e l’intera ciurma, i naviganti e quanti commerciano per mare se ne stanno a distanza, 18 e gridano guardando il fumo del suo incendio: «Quale città fu mai somigliante all’immensa città?». 19 Gettandosi sul capo la polvere gridano, piangono e gemono: «Guai, guai, immensa città,
del cui lusso arricchirono quanti avevano navi sul mare! In un’ora sola fu ridotta a un deserto!
20 Esulta, o cielo, su di essa, e voi, santi, apostoli, profeti, perché condannando Babilonia
Dio vi ha reso giustizia!». 21 Un angelo possente prese allora una pietra grande come una mola, e la gettò nel mare esclamando: «Con la stessa violenza sarà precipitata Babilonia, la grande città
e più non riapparirà. 22 La voce degli arpisti e dei musici, dei flautisti e dei suonatori di tromba,
non si udrà più in te; ed ogni artigiano di qualsiasi mestiere non si troverà più in te; e la voce della mola non si udrà più in te;
23 e la luce della lampada non brillerà più in te;
e voce di sposo e di sposa non si udrà più in te.
Perché i tuoi mercanti erano i grandi della terra;
perché tutte le nazioni dalle tue malìe furon sedotte.
24 In essa fu trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti coloro che furono uccisi sulla terra».

Il brano inizia con la proclamazione da parte di un angelo che è arrivata la fine di Babilonia: è caduta per mano di Dio. Un grido di vittoria viene ripetuto per tre volte con gioia, per significare l’esultanza dell’amore di Dio sull’egoismo proprio della città. Essa diventa domicilio di demoni, porto di animali impuri (ad es. sciacalli o uccelli notturni come i gufi): sono i segni che non vi abitano più le persone, ma tutto è caduto nella desolazione. In verità questa sua condizione è la conseguenza di quello che la città perversa, regno dell’ingiustizia, già era: un luogo invivibile, diremmo oggi.

Il modo con cui viene descritta la città non lasciano dubbi sulle caratteristiche della sua rovina: la sua prostituzione e il suo lusso sfrenato. Quando nella Bibbia si parla di prostituzione si fa riferimento all’idolatria: come la frequentazione delle prostitute è un tradimento del vero amore e della propria sposa, così per il popolo di Israele prostituirsi significa tradire il Dio che l’ha amata e sposata. Quando una città si prostituisce? Quando non fa più riferimento a quei valori che dovrebbero guidare la vita di una comunità. Una città si prostituisce quando in essa non c’è più la giustizia, perché si agisce favorendo alcuni piuttosto che altri; quando non vengono riconosciuti i diritti per tutti; quando le leggi sono fatte per favorire qualcuno o non vengono applicate. Una città si prostituisce quando in essa regna la corruzione. È bene ricordare qui le parole di papa Francesco contro questo male: “Questa piaga putrefatta della società è un grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta la vita personale e sociale. La corruzione impedisce di guardare al futuro con speranza, perché con la sua prepotenza ed avidità distrugge i progetti dei deboli e schiaccia i più poveri. È un male che si annida nei gesti quotidiani per estendersi poi negli scandali pubblici. La corruzione è un accanimento nel peccato, che intende sostituire Dio con l’illusione del denaro come forma di potenza” (Misericordiae Vultus, 19). Quanto male hanno fatto nella nostra Isola i mafiosi con la loro corruzione e il clima che essa ha creato; quanto questa piaga ha fatto degradare alcune nostre istituzioni! Nella politica, nella pubblica amministrazione, nell’Università, nella sanità: la corruzione è la prostituzione del nostro essere cittadini!

L’altra caratteristica della città di Babilonia è il lusso sfrenato, che non ha nulla a che fare con il senso della bellezza e del decoro. Penso al lusso sfrenato di certe case, a quello di certe feste, per le quali, anche per un diciottesimo compleanno, non si esita a spendere decine di migliaia di euro in vestiti, auto di lusso e di cattivo gusto, in feste sontuose. E non sempre tutto è pagato con il frutto di un onesto lavoro! Questo modo di vivere ha chiuso le porte a Dio e al buon senso di chi si dà un limite rispettando la giustizia e usando bene il denaro.

Il brano di Apocalisse continua con l’invito ad uscire da Babilonia, a lasciarla: “Uscite, popolo mio, da Babilonia per non associarvi ai suoi peccati e non ricevere parte dei suoi flagelli”. (v.4) Non basta condannare la corruzione, o fermarsi a giudicarla nelle nostre conversazioni: occorre prenderne le distanze, senza concedere nulla a chi trasforma i diritti in privilegi per pochi. Se punti il dito contro il corrotto, ma non fai niente per denunciarlo, sei complice di un malaffare che toglie speranza ai prediletti del Signore, i poveri e agli onesti, quelli che non scendono a compromessi. “Pagatela con la sua stessa moneta, retribuitele il doppio dei suoi misfatti”, significa vincere l’omertà che lascia impuniti i colpevoli! Vincete il male con il bene!

Il brano continua in una scena che presenta i complici di Babilonia che, non dimentichiamolo, è l’impero di Roma, che governava con la spada i popoli, dopo averli soggiogati. I primi complici di Babilonia sono i re della terra: questo riferimento vuole dirci che chi detiene il potere può essere il primo a cedere alle lusinghe della corruzione, e il male cerca altri potenti alleati. Non dobbiamo essere qualunquisti e ritenere che la politica sia “una cosa sporca”, ma dobbiamo riconoscere che con azioni, ma anche con omissioni, tanta politica è divenuta questa! Un autore tedesco, nel 1947, due anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, ha scritto il saggio “Il volto demoniaco del potere”, nel quale ha messo in evidenza la lotta costante tra potere ed etica che non è condotta in “campo aperto”, ma con atteggiamenti ambigui, in una luce incerta e “crepuscolare” in cui bene e male ci sembrano dal confine incerto.

La seconda categoria di persona che piange per la caduta di Babilonia è quella dei mercanti: è il segno che una città in cui non si ha più cura del bene comune è quella nella quale il potere economico ha preso il sopravvento sulle regole della democrazia. È la società nella quale le decisioni le prendono coloro che hanno interessi economici, e non si preoccupano, ad esempio, dell’inquinamento se questo va contro la redditività di un’impresa; se si mette a repentaglio il riscaldamento, il clima, l’uso delle risorse energetiche, la disponibilità di acqua, ma si continuano a fare affari, ecco che i sono “i mercanti” i migliori alleati della città corrotta.

Dobbiamo notare la lista minuziosa delle mancanze che troviamo in questo brano, da cui emerge un lusso eccessivo: questo inventario di oggetti preziosi cerca di riassumere la totalità dei beni di consumo mondiale, e va dai metalli e monili preziosi, ai vestiti di lusso, ai soggetti erotici, e finisce, cosa tristissima ad includere, le persone: “schiavi e vite umane”. Sono ventotto articoli: sette, il numero della perfezione, per quattro, i punti cardinali, ossia i beni lussuosi di ogni parte della terra. Ma è raccapricciante vedere che tra di essi ci sono anche le persone, meri oggetto di consumo.

Anche nella nostra responsabilità di cittadini credenti dobbiamo essere più attenti a non dipendere dalla “logica del profitto”: consumo di energia, trattamento dei rifiuti, uso della plastica, richiedono un atteggiamento più responsabile. Senza parlare poi di chi vende merce avariata anteponendo tutto al profitto: non poche volte le forze dell’ordine intervengono in questo vergognoso commercio, che mette a repentaglio la salute delle persone. Ma anche il modo come vengono trattati i dipendenti in un’azienda può obbedire alla logica del solo profitto: guadagna solo il datore di lavoro e ai suoi dipendenti dà stipendi di fame, minacciandoli di licenziarli e trattandoli in maniera disumana. La Lettera dell’apostolo Giacomo, nel Nuovo Testamento, dà voce a questa sofferenza: “Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti” (Gc 5,1).

Infine della caduta di Babilonia si lamentano i marinai. Perché questa categoria di persone? Perché sono gli uomini del commercio via mare, quello allora più redditizio. Sulle rotte delle grandi vie commerciali si costruiscono le ricchezze di una multinazionale, ad esempio, e sappiamo come funzionano: comprano carichi di merci a poco prezzo in alcuni Paesi, ad esempio acquistano a pochi centesimi caffè e cacao, costringendo le popolazioni a monocolture che impoveriscono il suolo, e poi vendono a prezzi più alti. Tra i mercanti ci sono i responsabili della tratta di persone, che riempiono i barconi di disperati che tante volte non giungono alle rive dei Paesi a cui erano diretti. E tra questi ci sono i responsabili della tratta di donne destinate alla prostituzione. Qui i marinai si lamentano perché hanno perso i loro loschi affari, perché come i trafficanti della tratta non si dispiacciono se muore una persona, ma se non hanno incassato il loro denaro. Ecco Babilonia non è una città collocata in un territorio particolare, ma è un popolo di uomini e donne che con la loro avidità sono presenti in ogni angolo della terra, in ogni città e in ogni paese. Forse anche nel nostro cuore c’è la condivisione di quel modo di agire, c’è la complicità allo stile di Babilonia proprio dei re, dei mercanti e dei marinai, che si lamentano della caduta della grande città del male. A volte anche noi cediamo nel nostro piccolo alla logica del potere, del profitto, anche di un uso irresponsabile del denaro.

Il brano che abbiamo meditato si chiude con l’esultanza di chi ha visto finalmente la caduta di Babilonia: “Esulta o cielo, su di essa, e voi, santi, apostoli, profeti, perché condannando Babilonia Dio vi ha reso giustizia” (v.20). I santi, cioè i battezzati che sono martirizzati come la nostra Agata e il nostro beato Livatino, esultano, perché finalmente è stata resa loro giustizia. La città viene scaraventata in mare da un angelo, che ne decreta la fine. Il capitolo si chiude con un’accusa: “In essa fu trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti coloro che furono uccisi sulla terra” (v.24). Questo sangue, simbolo del sacrificio per Cristo e per ogni verità, rimane, e diventa il seme di una vita nuova: è la testimonianza cristiana, di chi ha pagato a caro prezzo la sua coerenza.

Questo brano può sembrare un sogno, una utopia, ma ricordiamoci che la parola “Apocalisse”, che dà il nome al libro, significa “rivelazione”: Dio ci rivela come vede il mondo, come vuole trasformarlo, come vuole rinnovarlo.

“Uscite, uscite, uscite”: è l’invito alla conversione, perché i nostri peccati possono essere peccati personali, ma possono essere anche peccati che creano delle conseguenze sulla società. Scrive S. Giovanni Paolo. II: “È anche vero che il peccato personale ha sempre una valenza sociale. Mentre offende Dio e danneggia sé stesso, il peccatore si rende pure responsabile della cattiva testimonianza e degli influssi negativi legati al suo comportamento. Anche quando il peccato è interiore, produce comunque un peggioramento della condizione umana e costituisce una diminuzione di quel contributo che ogni uomo è chiamato a dare al progresso spirituale della comunità umana” (Udienza del 25.08.99). Se pensiamo ad un furto, ad un omicidio, è chiaro che le conseguenze sono sociali; ma la calunnia, il pettegolezzo, o anche l’abuso di potere o il rubare in maniera nascosta, ad esempio la luce elettrica da un palo, sono situazioni che hanno conseguenze sociali che, anche se non subito evidenti, strutturano la città di Babilonia, creano un modo disordinato e peggiorativo della convivenza umana. Chiediamo al Signore la grazia della conversione, preghiamo perché il nostro cuore non sia mosso da quell’amore “sfrenato” di sé, che edifica Babilonia nella città dove, vie, nelle relazioni che costruisce.

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