“La carità salverà Catania”, è questo il messaggio lanciato dall’arcivescovo Luigi Renna alla messa dell’Aurora e ripreso nel discorso alla città. “Sant’Agata – ha detto l’arcivescovo – non faceva dipendere la sua bellezza da un’estetica vuota, ma dalla sua prossimità ai poveri”. E, d’altro canto, pur essendo consapevole di mettere a rischio la propria vita, per amore a Gesù ha deciso di non fuggire dalla sua città, ma di abitarla in modo nuovo: “se non ci fosse stata la storia di questo martirio – e badate che non è un mito da interpretare in modo esoterico – la nostra città sarebbe un’altra cosa e non avrebbe un così grande punto di riferimento come sant’Agata”.

Sant’Agata non è un mito manipolabile a piacimento

“Voglio che non si dimentichi – ha poi aggiunto l’arcivescovo – che Sant’Agata è una martire cristiana non un mito, come vorrebbero farla apparire tante letture culturali e simboliche che proliferano ai nostri giorni. Perché il mito è manipolabile (dall’antica Grecia fino a Freud), ma il Vangelo e i suoi martiri no”. L’insistenza dell’arcivescovo sulla peculiarità di Agata, “martire cristiana che ha riposto tutta la sua fiducia in Cristo Salvatore”, ci aiuta a riflettere sulle manipolazioni in atto della figura della patrona.

La cultura del “mito” ci offre diverse immagini di Agata che non le corrispondono

Alcuni ce la presentano come l’emblema della Bellezza pura, una bellezza disincarnata dalla vita e dalla storia. Ma la bellezza di Agata non è avulsa dalla realtà, ha un nome a cui essa è legata: Gesù. E’ frutto del suo donarsi ai fratelli in forza dell’amore che la sostiene.

Altri ce la presentano come l’emblema della religiosità sganciata dalla fede. Anche questo è un mito manipolabile e manipolato di frequente dalla cultura borghese e dalla cultura mafiosa, che paradossalmente trovano un punto di unione nel professare una devozione astratta, che lascia poi spazio nella vita concreta per fare i propri (a volte loschi) affari.

Altri ancora ci mostrano Agata come l’eroina del moderno femminismo. O come l’eroina pop. Da qui le sfilate di moda ispirate ad Agata o il ballo delle ‘ntuppatedde attorno alle candelore. Anche questo ci ha ricordato a più riprese l’arcivescovo è un modo di ridurre Agata a paganesimo. Agata viene uccisa anzitutto per il suo amore a Gesù e averla a modello significa amare ciò che lei amava e di conseguenza amare e rispettare tutti gli essere umani come figli di uno stesso Padre, soprattutto le più e i più indifesi.

Altri infine ci fanno vedere come la festa di sant’Agata possa essere un business, capace di attrarre turisti. Ma la festa è soprattutto l’occasione per imparare a seguire l’esempio di fede della Martire Agata e “riabitare la nostra città da fratelli”.

Il lavoro che si è fatto in queste settimane, con la reliquia del Velo portata nelle periferie e con la catechesi permanente, ci ha mostrato invece un altro volto di sant’Agata, quello della martire che è, per usare le parole di mons. Renna, “come una gemma sull’albero e ci dona speranza e continua ad annunciarci la Luce che Cristo è venuto a portare nel mondo e che non teme né la corruzione di Afrodisia, né la violenza di Quinziano”.

L’esempio di Agata, e quello del martire dei nostri giorni don Pino Puglisi più volte ricordato in queste settimane, ci indicano la strada di come oggi la nostra vita possa portare luce su Catania e sul mondo, e ci invitano a prenderci cura delle persone che abbiamo accanto e dei bisogni della società. “Perciò – è stato

l’invito dell’arcivescovo – riscopriamoci popolo che costruisce la sua città attraverso un ‘noi’ comunitario; partecipiamo alla cura delle nuove generazioni (…) Il volto di Agata ci chiede di abitare la sua e la nostra città con amore, con quella carità che – come scrive Papa Francesco – è al cuore di ogni vita sociale sana e aperta”.

*

OMELIA DELL’ARCIVESCOVO PRONUNCIATA DURANTE LA MESSA DELL’AURORA


4 febbraio 2024


Carissimi fratelli e sorelle in Cristo,
eccoci anche quest’anno riuniti attorno all’altare della nostra cattedrale di sant’Agata per la
Messa dell’aurora, la Celebrazione Eucaristica che ha il nome così bello delle prime luci dell’alba,
quelle che promettono le attese più belle di ogni giornata, quelle che a volte sono affrontate con
qualche timore e che noi cristiani iniziamo sempre affidandoci a Dio, Padre buono. Il santo vescovo
di Molfetta, il venerabile don Tonino Bello, invocava la Madonna all’aurora con parole che
potrebbero adattarsi a chiedere l’intercessione della nostra martire Agata: «…donaci di intuire, pur
tra le foschie dell’aurora, le speranze del giorno nuovo. Ispiraci parole di coraggio. Non farci
tremare la voce quando, a dispetto di tante cattiverie e di tanti peccati che invecchiano il mondo,
osiamo annunciare che verranno tempi migliori. […] Aiutaci a comprendere che additare le gemme
che spuntano sui rami vale più che piangere sulle foglie che cadono. E infondici la sicurezza di chi
già vede l’oriente incendiarsi ai primi raggi del sole». La gemma che spunta sull’albero e che ci
dona speranza è sant’Agata, che con il suo martirio continua ad annunciarci che la luce che Cristo è
venuto a portare nel mondo, non teme né la corruzione di Afrodisia, né la violenza di Quinziano. La
luce del Vangelo non è mai contro qualcuno o qualcosa, ma è semplicemente luce di salvezza, ed è
incompatibile con il Male, così come l’aurora è incompatibile con la notte. La testimonianza
cristiana fino al martirio ha il suo riverbero anche nei valori umani, perché «non c’è nulla di
genuinamente umano che non trovi eco nel cuore del cristiano» (GAUDIUM ET SPES, 1). Il martirio di
sant’Agata ci dice quanto un cristiano possa essere credibile: non è solo uno che parla, ma è uno che
sa essere coerente e sa pagare persino con il dono della propria vita. La luce del martirio è quella
che ha dato speranza ai cristiani e ha fatto dire loro: sì, è possibile essere credenti fino in fondo; se è
stato possibile per una ragazza come Sant’Agata, è possibile per te, per me, per tutti. E la luce del
martirio continua ancora oggi, ed è sempre come l’aurora in mezzo al buio: così trent’anni fa don
Pino Puglisi, in terra di Sicilia. Il papa, ricordandoci del suo sacrificio, ha scritto ai vescovi siciliani
queste parole: «Vi esorto quindi a fare emergere la bellezza e la differenza del Vangelo, compiendo
gesti e trovando linguaggi giusti per mostrare la tenerezza di Dio, la sua giustizia e la sua
misericordia. Sono segni che il cristiano è chiamato a porre nella città degli uomini per illuminarla
nella costruzione di una nuova umanità. Il Martire Don Pino possedeva una sapienza pratica e
profonda al tempo stesso, infatti amava dire: “Se ognuno di noi fa qualcosa, allora possiamo fare
molto» (LETTERA DEL SANTO PADRE PER I TRENT’ANNI DEL MARTIRIO DI DON PINO PUGLISI, 1.8.23).
Se qualche volta voi uomini e donne di cultura vedete il vostro pastore fermo nell’affermare la
peculiarità del martirio di Agata rispetto alle tante letture culturali e simboliche che proliferano, e
che rischiano di trasformarla in un mito, è perché io voglio che non si dimentichi che è una martire
cristiana, perché il mito è manipolabile (dall’antica Grecia fino a Freud), ma il Vangelo e i suoi
martiri no. Essi hanno una portata etica che è quella stessa del Vangelo. Anche la religiosità può
diventare manipolabile, quando ad esempio una candelora perde il suo senso di devozione
comunitaria, divenendo espressione particolaristica o politica. Stiamo attenti alle derive e torniamo
a rileggere sant’Agata alla luce della fede cristiana! Sul suo volto non è stampato un sorriso
enigmatico come su una statua greca o classica, ma i nostri antenati e il mio predecessore, il
vescovo Maurizio, volle che fosse espressa la serenità di una donna che ha riposto tutta la sua
fiducia in Cristo Salvatore.
Sant’Agata ha fatto la sua parte, don Pino Puglisi anche; ora tocca a noi, i cristiani di questo
tempo. Come potrà la nostra vita portare i riverberi dell’aurora su Catania, sul nostro mondo, ogni
giorno e non solo oggi in cui le nostre strade sono vestite a festa? Ci risponde la Parola di Dio di
questa domenica. Il vangelo secondo Marco ci dice oggi che Gesù entrò a Cafarnao, il villaggio
dove abitava Pietro, in giorno di sabato, e si reca nella casa dell’apostolo, dove la suocera di costui
era malata. Gesù non rifugge dai luoghi dove c’è sofferenza e malattia; educa i suoi apostoli non
dicendo loro: «Andate, curate!». Lui per primo “si sporca le mani”, entra e compie dei gesti
semplici, che dicono la vicinanza e la tenerezza di chi sa stare accanto al letto di un malato. Non
trovo parole più belle di quelle di un Padre della Chiesa, quasi coevo della nostra sant’Agata, san
Girolamo, per commentare questo episodio evangelico: «Ma questo medico misericordioso, si
accosta egli stesso al letto; Colui che s’era messo sulle spalle quella pecorella ammalata, si accostò
di persona […]. La prese per mano e la fece alzare […]. Prese la sua mano come fosse un medico,
tastò il polso, si accorse della febbre. E fu egli stesso il medico e la medicina (…) Invitiamolo ad
entrare in casa nostra, non restiamocene supini, ma alziamoci una buona volta dal letto!». E cosa fa
quella donna? Si mette a servire! Rende la casa che era ferma, quasi bloccata dalla malattia, una
casa accogliente, dove si nutrono gli ospiti, dove a sera, nel cortile, Gesù accoglie altri malati.
Cari fratelli e sorelle, nel nome di sant’Agata come vorremmo imparare questi gesti di Gesù,
e sentire che Egli entra nelle nostre case ogni volta che apriamo il cuore al suo Vangelo. Questa
mattina voglio rivolgermi soprattutto alle famiglie, invitando a lasciarsi prendere per mano dal
Signore e da sant’Agata. I mariti siano accanto alle mogli con tenerezza, senza asprezza o, peggio,
violenza. Sappiano che il bene di una coppia che rimane unita per tutta la vita, è inestimabile. Gli
uomini non insidino altre donne, rovinando altre famiglie e diventando padri di figli che
abbandoneranno. E voi mogli, amate i vostri mariti con la stessa fedeltà con cui sant’Agata ha amato
Cristo suo sposo. State attente però: amore non vuol dire subire violenze e tradimenti, essere messe
a tacere dai mariti, da suoceri e suocere che sono peggio di Quinziano e di quella cattiva madre che
fu Afrodisia. Lasciatevi toccare il cuore per amare sinceramente e fedelmente! E voi genitori,
prendete mano nella mano i vostri figli come Gesù prese per mano la suocera di Pietro. Prendere per
mano significa accompagnarli nella vita perché siano persone capaci di realizzarsi. Cosa dai a tuo
figlio? Lo studio? Allora sarà libero un domani, perché non dovrà piegarsi né ad un imprenditore
che lo sfrutta dandogli un salario di fame, né alla mafia che recluta i ragazzi più fragili per renderli
uomini che non avranno mai un futuro dignitoso. Sarà libero di votare con la sua testa e di
partecipare alla vita democratica senza ricatti. Cosa dai a tuo figlio? Una pistola che lo faccia
sentire onnipotente? Non è la strada che ha percorso lo sposo di sant’Agata, Gesù Cristo, che ha
detto: «Rimetti la spada nel suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada
moriranno» (Mt 26,52). Le armi esibite o date ai figli sono il peggior insegnamento che si possa
dare, perché con le armi si uccide e anche se ci si diverte lo si fa in una maniera non appropriata la
morte. Insegnate ai figli a costruire un futuro, insegnate loro ad amare e servire come Gesù. Ci sono
famiglie in cui c’è tutto: amore dei genitori, buona educazione, studi avanzati. Cosa manca?
Imparare da Gesù a tendere la mano ai poveri e insegnare a servire, a fare del bene agli altri,
gratuitamente. Solo i figli che impareranno questo stile, potranno dare speranza alla società, alla
politica, ad un mondo che ha bisogno di autorevoli servitori, alla Chiesa.
Domani avremo un gesto di condivisione a san Nicolò l’Arena: mi raccomando sia tale per
chi vi partecipa, perché tante volte vedo affacciarsi persone per fare un selfie e poi andare a
pranzare a casa. La mensa della carità va onorata con la coerenza! E noi abbiamo voluto festeggiare
sant’Agata con i suoi fratelli diletti, i poveri. Ci piace pensare che sant’Agata, come una vera
discepola del Signore, ci prenda per mano tanti che come la suocera di Pietro sono “bloccati” nella
malattia, nelle povertà di ogni tipo, nelle storie di peccato e di corruzione. Lei ci inviti a rialzarci e a
farci camminare, in questa aurora, verso il giorno in cui splende giustizia e carità per tutti. E insegni
anche a noi ad essere solidali e servitori come Gesù Cristo, come don Pino e gli altri santi, e tutti
possiamo sentire che “i raggi di un sole”, quello delle beatitudini del Vangelo, illumini questa città
che Lei ha irrorato col suo sangue di martire cristiana.
La carità salverà Catania!

Un commento su “Sant’Agata e la vera bellezza: richiamo alla carità in una città da riabitare

  1. dalle istituzioni locali e regionali per la salvaguardia dei centri storici e monumentali.
    Arch. Salvatore Di Mauro
    Centro Giorgio La Pira
    Catania

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