C’è un filo rosso che lega in modo emblematico la recente scomparsa in Russia di Aleksej Navalny alla riflessione che Papa Francesco ha consegnato nel suo messaggio per la Quaresima: “Attraverso il deserto Dio ci guida alla libertà”. Deserto (dal latino “abbandonato”), luogo dell’abbandono, mare di sabbia o gabbia agli estremi confini della Siberia. Habitat del silenzio in cui nella prova emergono i bisogni essenziali dell’uomo. Deserto. E quaranta giorni per attraversarlo. Perché anche il tempo ci è dato, come la grazia.
«La Quaresima è il tempo di grazia in cui il deserto torna a essere […] il luogo del primo amore. Dio educa il suo popolo, perché esca dalle sue schiavitù e sperimenti il passaggio dalla morte alla vita. Come uno sposo ci attira nuovamente a sé e sussurra parole d’amore al nostro cuore». Sono le parole di Papa Francesco a guidarci lungo la traversata, orme sulla polvere che tracciano la strada. Passi, segno dell’amore che mai abbandona, compagnia che educa tirandoci fuori dalla schiavitù che insidia da sempre quel bene prezioso per l’uomo che è la libertà.
Ma avverte Francesco: per non restare astratti «il primo passo è voler vedere la realtà».
Realtà che provoca e ci chiama a rispondere, a prendere posizione. Come il grido dei nostri fratelli in difficoltà. Come il grido che vive dentro di noi. C’è un Egitto nella nostra anima e il Faraone di turno sta lì in agguato per insidiarne le profondità in «un dominio che ci rende esausti e insensibili”.«Il Faraone, infatti, spegne anche i sogni, ruba il cielo, fa sembrare immodificabile un mondo in cui la dignità è calpestata e i legami autentici sono negati. Riesce, cioè, a legare a sé».
Potere e libertà, sempre in lotta. Intrappolati alle logiche manipolative del potere che si adorna di idoli per servirsi del nulla che lo regge, inghiottiti dalla disperazione siamo così privati della libertà. In una parola: schiavi.
«Ce ne accorgiamo quando ci manca la speranza e vaghiamo nella vita come in una landa desolata, senza una terra promessa verso cui tendere insieme» riflette il Santo Padre che nota come questa condizione porti a «un deficit di speranza. Si tratta di un impedimento a sognare, di un grido muto che giunge fino al cielo e commuove il cuore di Dio. Somiglia a quella nostalgia della schiavitù che paralizza Israele nel deserto, impedendogli di avanzare». Fino a correre il rischio di arrestare persino l’esodo, quel cammino che rende la vita non appena una mera sopravvivenza ma esistenza piena. Via d’uscita dalla schiavitù che aliena l’uomo dalla realtà e anestetizza la ferita che siamo, riaperta continuamente dalle difficoltà del quotidiano.
Lo sapeva bene anche Navalny che dieci anni fa facendo memoria della Passione di Cristo si chiedeva: «Cosa sono tutte le nostre “difficoltà” e i nostri “problemi” in confronto a ciò che ha dovuto provare Lui? Ma il Bene, la Giustizia, la Fede, la Speranza e la Carità ebbero comunque la meglio […] E vinceranno sempre». Una vittoria concretissima che in questi giorni in modo misterioso viene rievocata anche dallo spettacolo silenzioso di un popolo che, dalla notizia della morte di Navalny, si raduna in pellegrinaggio sulla neve di piazza della Lubjanka a Mosca per offrire una rosa, un segno inequivocabile del «balenare di una nuova speranza» che ricorda ancora una volta al mondo intero che si può dare la vita per un bene che vale più della vita stessa, con quel coraggio che Francesco richiama a conclusione del suo messaggio. Coraggio di uomini liberi senza paura che ne Il potere dei senza potere Vaclav Havel indica come il pericolo più temuto dai regimi di ogni epoca. Perché il Faraone ha un solo timore: l’uomo libero.
Libertà che passo dopo passo lungo il deserto dei nostri giorni continuiamo ad imparare in compagnia di chi è certo che anche quel pezzo di cielo rubato è già restituito. Salvato.
Compagnia fedele di Chi non finirà mai di commuoversi per noi.