di Don Antonino De Maria

“Sant’Aita ricchizzi, santa Venira biddizzi”: non è a questo detto significativamente acese ( o acitano, come si dice a Catania), che faccio riferimento nella scelta del titolo. L’espressione è di uno dei più grandi teologi del XX secolo che ho avuto l’onore di leggere, studiare e far conoscere ai miei alunni, dopo averlo sfiorato durante una messa concelebrata da Ratzinger, don Giussani e lui: Hans Urs von Balthasar. Il teologo della Gloria e della bellezza ha ispirato la mia lettura di una vita, di una testimonianza, quella di sant’Agata e dell’amore dei Catanesi per lei.

Cos’è che attrae, chiunque, in ogni parte del mondo, si accosti alla vita di Agata? La Bellezza di Cristo risplendente nella sua umanità. L’ho visto celebrando la festa in Lituania, l’ho scoperto attraversando le strade di Bucarest, in un monastero ortodosso edificato in suo nome.

La bellezza di Cristo risplendente, rifulgente nella vita di una donna, così lontana nel tempo, eppure così presente nel vissuto di generazioni di catanesi. Così presente come la fidanzata: e ti alzi per tempo, prima dell’alba[1], per incontrarla, per amare e sentirti amato, nella certezza di un amore fedele, inesauribile, come l’amore dello Sposo che dalle braccia del suo talamo crocifisso l’ha sorretta e guidata, fino a raccogliere il suo spirito e restituirle la vita in un misterioso evento di eterna risurrezione.

Il perdurare di questo rapporto risulta incomprensibile, in tempi di frammentarietà e di disillusione sul durare dei rapporti umani, eppure è reale, misteriosamente vero e vivo. Anche questo attrae.

Le analisi sociologiche sono inutili; le altisonanti parole dei teologi, dei moralisti, dei “so tutto io” in talare o meno, non possono negare questo fatto, questa fedele attrattiva, che da padre in figlio, diventa parentela, amicizia, fraternità, sponsalità.

Può capitare che nella realtà di una analfabetizzazione religiosa ( e di chi è la colpa?), qualcosa che va oltre la mente e illumina la profondità dell’essere umano, scorga un di più che attrae? Si: è il mistero della fede, di un sentimento religioso, il senso religioso che è nel cuore di ogni uomo, anche di colui che si dice ateo, che si tende verso Qualcuno che lo fa affacciare sul Mistero, nel quale solo si acquieta il cuore dell’uomo.

Agata ha questo compito: trarci a Cristo e la sua umanità, integralmente definita e splendente dall’amore di Cristo, accende il desiderio – che la Chiesa deve continuamente accogliere senza scuse e tergiversazione -, di sapere di Chi è il volto amato da Lei, dove lei trova pace e amore per me. I volti della gente, uomini, donne, bambini, giovani che si accostano a lei non solo nei giorni della festa, dicono questo desiderio, questa domanda, più o meno consapevolmente espressa: Agata, vogliamo conoscere anche noi quel Cristo che ami e che ti fa stare con noi con la stessa sollecitudine della madre, della sorella, dell’amica, della fidanzata. Questo amore “erotico”, come lo definì papa Benedetto XVI nella sua prima enciclica Deus caritas est, si può compiere solo nell’incontro con Cristo, nella comunione agapica e trinitaria. E questo desiderio, questo spunto, questo grido ha bisogno di una Chiesa che sappia raccoglierlo e farlo fruttificare in una fede viva; dove Cristo è tutto e dove la mia vita inizia a risplendere della stessa luce di Agata. Cercano in un grido corale attraverso l’Amata, l’Amato.

Non importa se, in questo tempo di pandemia, l’incontro con la fidanzata non può diventare quella lunga passeggiata amorosa che non conta il giorno e la notte: ella vive e nel segreto delle case diventa amorosa narrazione ai figli, strada indicata, proposta di vita.

Ci si lascia il 6 febbraio al mattino con una promessa: tornerò ancora l’anno prossimo perché sai che lavoro in Australia; oppure: ad Agosto ti vengo a trovare.[2]

Parlando con un’antropologa, ricercatrice all’università di Berna, abbiamo convenuto non solo che si tratta di un’esperienza affascinante, nelle sue modalità, nel suo narrarsi, nel suo darsi agli occhi di tutti ma, soprattutto, una vera esplosione di umanità. Lei, non cattolica e anche svizzera, lontana cioè dai paradigmi ermeneutici della religiosità popolare, ha capito più di molti altri, stando con questo popolo, chiedendo, ascoltando, il segreto di questa epifania dell’uomo e di Dio.

Concludo con le parole della Didachè: “ Ogni giorno contemperò il volto dei Santi per trovare riposo nei loro discorsi “. I discorsi dei Santi, di cui siamo concittadini, come dice Paolo agli Efesini, ci aiutano a dimorare, oggi, con il Signore della Vita, Colui nel quale tutto l’umano diventa bellezza.


[1] Il 4 febbraio nel pieno della notte vestiti col sacco devozionale o meno i Catanesi si incamminano verso la Cattedrale per la Messa dell’aurora delle 6. Alcuni andranno a lavoro, altri inizieranno il lungo corteo con le reliquie che si concluderà il mattino seguente.

[2] Dopo la riforma liturgica il 17 agosto si raccolgono tutte le celebrazioni liturgiche che una volta, quasi ogni mese, invitavano il popolo ricordando una reliquia, un luogo, il patrocinio della Santa. Oggi celebriamo il ritorno delle reliquie da Costantinopoli nel 1126.

L’articolo è tratto da “Giornotto”, periodico online della diocesi di Monreale con il titolo La bellezza è la prima parola

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