L’Arcivescovo Mons. Luigi Renna, continua con la terza Catechesi ad offrire alla comunità diocesana spunti di riflessione per comprendere appieno il significato di questo tempo di Quaresima.

Il percorso delle nostre catechesi quaresimali, dopo aver riflettuto sulle città che manifestano chiusura al progetto di Dio e non risultano essere costruite “a misura d’uomo”, cioè tenendo presenti quei valori che sono la centralità e unicità della persona e il bene comune, oggi si ferma a contemplare Gerusalemme, la città che, si dice nel libro dell’Apocalisse “discende dal cielo, come una sposa pronta per il suo sposo”.

Dobbiamo subito fare una precisazione. Quando parliamo di Gerusalemme, a cosa ci riferiamo? Gerusalemme, il cui nome significa “città della pace”, oggi è “città santa” per tre religioni: per l’ebraismo, anzitutto, perché ha le sue origini nella storia del popolo di Israele, ed è divenuta la capitale del regno di Davide, edificata già nel 1800 a.C. sul monte Sion. Fu il re Davide, nel 1000 a.C., che la conquistò strappandola ai gebusei, vi costruì la reggia dei re d’Israele; suo figlio Salomone vi costruì il tempio sul monte Moria, identificato dalla tradizione con il luogo dove Abramo si era recato per sacrificare il figlio Isacco.

Gerusalemme è la città santa per i cristiani: è il luogo in cui il Signore Gesù muore e risorge e in cui, dai temi dell’imperatore Costantino, furono edificati le grandi basiliche sui luoghi della Passione, Morte e Risurrezione e su altri luoghi che ricordano il passaggio di Gesù.

La città fu distrutta varie volte. Ricordiamo solo la distruzione da parte dei romani sotto l’imperatore Tito, nel 70 d.C., quella del 135 sotto l’imperatore Adriano che, per cancellarne persino il nome, la chiamò Aelia Capitolina. Nel X secolo la città santa dei cristiani e degli ebrei fu occupata dai musulmani e divenne quindi anche città santa per l’Islam, che costruì sui resti del tempio di Gerusalemme una grande moschea. La città ritornò ai cristiani nel 1099 con la prima crociata, ma fu riconquistata da Saladino nel 1187.

È una città santa, ma travagliata, nella quale convivono uomini e donne di tre religioni, che dialogano in nome della loro fede, ma sono al centro di tante questioni politiche: vi si parlano una decina di lingue, ma continua ad esistere. È l’anti-babele: “Le cause che hanno condotto alla distruzione di Babele sono le stesse cause che giustificano, inversamente, il permanere di Gerusalemme, nonostante tutto. La prima di queste, e la più determinante, è la misericordia verso i più poveri, misericordia che è il retaggio delle tre religioni abramiche. “L’ospitalità di Abramo sotto l’albero di Mamre è una figura profondamente radicata nella cultura e nella prassi degli abitanti di Gerusalemme e della Terrasanta” (A. Mello).

Possiamo dire che sono tre le caratteristiche della città santa: l’ospitalità, l’adorazione dell’unico Dio e lo studio delle Scritture.

Ma cosa ha da dire a noi che vogliamo vivere da uomini e donne che si sentono responsabili del bene comune e della loro città? Ci soffermiamo oggi su due brani uno dell’Antico Testamento, e l’altro del Nuovo.

Isaia 2,2-5

2 Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti.
3 Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore.
4 Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada
contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra. 5 Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore.

Questo brano del profeta Isaia ha il suo parallelo in Mi 4, 1-3. Il testo inizia con l’espressione “alla fine dei tempi”, e potrebbe fa pensare alla fine del mondo, ma in verità vuole dire semplicemente “nel corso del tempo”. Isaia vuole dirci che non dobbiamo rassegnarci alle contraddizioni che vediamo oggi, ma siamo chiamati a guardare oltre, con speranza.

Gerusalemme non viene nominata direttamente, ma in modo indiretto, con le parole “il monte del tempio del Signore”, il monte Sion nel quale è costruita questa città, della quale si nomina nessun altro edificio che il tempio. Perché? Per sottolineare che quel luogo è il centro, il luogo in cui si adora l’unico Dio e in cui Dio incontra l’umanità. Si dice che questo monte si innalza sulle altre altitudini: non è un’affermazione di superbia e di orgoglio come era stato per i costruttori di Babele, che “volevano farsi un nome”. Si vuole dire che questo monte di Dio è più alto delle altre colline e altitudini laddove esistevano altri luoghi di culto, per lo più fatti costruire agli idoli delle numerose mogli di re Salomone (cf. 1Re 11,4: “Quando Salomone era vecchio, le sue donne gli fecero deviare il cuore per seguire altri dei e il suo cuore non restò integro con il Signore, suo Dio, come il cuore di Davide, suo padre”).

Quel monte è il luogo dove si adora Dio, né idoli, né tantomeno l’uomo con la sua superba ambizione di “scalare il cielo” e di egemonizzare la terra: “Contro l’orgoglio e la superbia della torre, viene qui esaltato il monte splendido della presenza divina”.

A questo luogo affluiscono tutti i popoli: c’è un movimento non “centrifugo”, di dispersione, come a Babele, ma “centripeto”, di un pellegrinaggio e di confluenza dei popoli della terra che cercano qualcosa. Esprimono le loro volontà dicendo: “Venite … perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i sentieri.” (Is. 2,3). Il desiderio è quello di conoscere una strada e di percorrerla insieme, di trovare una legge, dei valori, uno stile di vita che faccia camminare insieme. Non si va al Tempio per adorare, ma per ascoltare questa parola. Quando nella Bibbia si parla di strada, di sentieri, di via, si vuole indicare una legge di vita.

Infatti il testo prosegue: “Poiché da Sion (cioè dal monte di Gerusalemme) uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore” (Is. 2,3b). questa Legge e questa Parola sono la risposta di Dio ai problemi della società, e sono l’espressione della sua volontà di salvezza. Cosa indica concretamente questa Parola? La trasformazione dell’arsenale di un esercito, fatto di spade e lance, in strumenti di pace, anzi in strumenti che assicurano la prosperità ai popoli; aratri e falci, per seminare e per raccogliere, per nutrire, piuttosto che per distruggere e per affamare. È il sogno di Isaia, diceva don Tonino Bello, un sogno di pace per tutta l’umanità: “L’effetto della presenza della Parola e della Torah è la pace. Essa appare come un atteggiamento attivo. Non si tratta soltanto di non lottare, bensì di invertire la tendenza naturale degli uomini che, dal tempo di Caino in poi, si alzano contro il proprio fratello”. (A. Mello). Non si costruisce più Enoc, la città di Caino e di Lamek, né Babele, la città della egemonia, né Babilonia, la grande prostituta, alleata dei tiranni, dei mercanti senza scrupoli, ma Gerusalemme, città di pace.

Ed ora ci soffermiamo sul brano di Ap. 21, che ci presenta anch’esso la città di Gerusalemme: non è più la città capitale del regno di Davide, ma la Gerusalemme nuova, che “scende dal cielo”, cioè è trasfigurata, è quello che deve essere, non quella che già è! Essa è ormai immagine di ciò che la Chiesa è chiamata ad essere.

Ap. 21,9-27

9 Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò: «Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello». 10 L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. 11 Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. 12 La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. 13 A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte. 14 Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.
15 Colui che mi parlava aveva come misura una canna d’oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura. 16 La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: misura dodici mila stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono eguali. 17 Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall’angelo. 18 Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. 19 Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, 20 il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l’undecimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. 21 E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente.
22 Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. 23 La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello.
24 Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza. 25 Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, poiché non vi sarà più notte. 26 E porteranno a lei la gloria e l’onore delle nazioni.
27 Non entrerà in essa nulla d’impuro, né chi commette abominio o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello.

Questa città viene chiamata anche “sposa”: ma perché? È una similitudine per esprimere il rapporto d’amore con il Cristo, e richiama anche al simbolo comunitario delle nozze, la festa nella quale Cristo sarà tutto in tutti.

Di essa si dice che ha mura, porte, fondamenti che ruotano tutti al numero 12: dodici porte, dodici fondamenti di pietre preziose, dodici perle. Si vuole dire che tutto è simmetrico, tutto è perfetto e preziosissimo, c’è armonia e bellezza. Il numero 12 richiama al numero delle 12 tribù del popolo di Israele (i cui nomi sono scritti nelle dodici porte) e i dodici apostoli (i cui nomi sono sui fondamenti). Si vuol dire che è la città di Dio, in cui non c’è nessun tempio, nessuna chiesa, perché Dio è il suo tempio; la luce che la illumina è l’Agnello, è Cristo.

Abbiamo detto che in essa l’autore dell’Apocalisse ci fa intravedere la Chiesa, ma scorgiamo in essa due caratteristiche che ne fanno anche il modello per ogni comunità, anche per la città: la presenza in essa di tutti i popoli e l’inammissibilità del male. Questa immagine, stiamo attenti, non è l’utopia di una città che l’uomo è chiamato a costruire, ma ci indica piuttosto che nel costruire la nostra città terrena, siamo chiamati a tener presente l’apertura a Dio, il lasciarsi illuminare dal Signore, l’accoglienza di tutti i popoli, il rigettare tutto ciò che ostacola il bene di tutti. Possiamo dire che la qualità dell’impegno sociale e politico di un cristiano viene illuminato dal mistero di questa città, la nuova Gerusalemme, nella quale risplende la Pasqua di Cristo. È una città aperta a Dio: ci fa ripensare il senso della laicità, che non è il laicismo, la chiusura ad ogni testimonianza di fede, ma l’apertura alla presenza di religiosi che dialogano tra di loro e danno esempio di pace, come il papa ci ha insegnato nel “Dialogo nella fratellanza” firmato con lo sceicco dell’Al-hazar. È una città che accoglie tutti i popoli, che non conosce distinzioni, che non emargina, ma include. Convivono e si rispettano le diverse culture, come accade nella Chiesa, laddove uomini e donne di ogni popolo e nazione parlano lo stesso linguaggio di fede.

Infine: in essa non può entrare nulla di impuro e di falso, perché è ciò che contamina la nostra fraternità.

Siamo chiamati, cari fratelli e sorelle ad edificare la Chiesa così, come il Signore la presenta a noi quale città che viene dal cielo; ma siamo chiamati ad ispirare il nostro modo di vivere la cittadinanza con questo stile. È quello che approfondiremo ancora nell’ultima delle nostre catechesi quaresimali.

+ Luigi Renna

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