Nelle scorse settimane il nostro Paese ha registrato frequenti episodi di violenza: accoltellamenti, pistolettate, con protagonisti giovani, fino a 14 anni! Il più delle volte, dal Veneto, alla Campania, alla Sicilia, si è trattato di femminicidi, scatenati da “una relazione che viene infestata dalla volontà di dominare sull’altro” (Leone XIV). Questi fatti tragici hanno suscitato molte reazioni, e non sono mancate marce e fiaccolate.

Ma, bisogna andare alla radice del problema e domandarsi: siamo di fronte a una grave emergenza educativa? Questi delitti sono frutto del caso, di un raptus, di un momento di follia? O forse denotano che questi giovani non sono stati adeguatamente educati ad autentici valori umani, culturali, etici, sociali, spirituali, all’amore come dono e non come possesso, al rispetto per la vita e per le scelte del prossimo: elementi essenziali per lo sviluppo umano di ogni persona e che rendono la vita bella e degna di essere vissuta.

La famiglia, nell’educazione dei figli, ha un ruolo essenziale e inalienabile, essa  è “la prima scuola di virtù sociali” (Compendio DS,C n. 238).  Già S. Tommaso D’Aquino aveva scritto che i genitori non solo danno la vita e il nutrimento ai figli, ma hanno anche il dovere di educarli. E la responsabilità educativa della famiglia è così delicata e insostituibile tanto che il grande pedagogista Comenio (sec. XVII) proponeva una scuola per la formazione dei genitori. Ma oggi, la famiglia e le varie agenzie educative, come la scuola o la stessa comunità ecclesiale, sembrano arrendersi   di fronte all’emergenza educativa.

Il prevalere di una mentalità individualistica ed edonistica

Si registra “la crescente difficoltà che s’incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori –base dell’esistenza e di un retto comportamento, difficoltà che coinvolge sia la scuola sia la famiglia e ogni altro organismo che si prefigga scopi educativi” (Benedetto XVI). Infatti, bisogna riconoscere che educare è una scommessa molto rischiosa, e non la si vuole affrontare per una serie di motivazioni: i genitori non vogliono contraddire i modi di pensare e gli stili di vita dei figli; gli insegnanti, molto spesso, per non avere grattacapi con alunni e genitori, seguono la filosofia del lasciar fare e lasciar  passare. Il permissivismo e il relativismo etico   permeano la nostra società, plasmando una mentalità individualistica ed edonistica. Quindi è vietato parlare di “sacrificio”, necessario per raggiungere dei sani obiettivi e far maturare la personalità del giovane; oggi è vietato vietare e  genitori e insegnanti non sanno dire un no, quando è necessario. Si favoriscono forme di spontaneismo naturale, anziché esercitare la propria autorità di educatori con rispetto e delicatezza, ma anche con fermezza e vigore.

Il cantiere abbandonato dell’educazione

Assistiamo a una smobilitazione formativa generale tanto che qualcuno paragona la questione educativa ad un cantiere abbandonato, dove nessuno osa porvi mano perché  l’educazione sembra impossibile dato che ormai è impensabile. C’è una eclissi o, peggio, un tramonto dell’educazione? Il nostro è un tempo post-educativo? “L’educazione e la formazione della persona sono influenzate da quei messaggi e da quel clima diffuso che vengono veicolati dai grandi mezzi di comunicazione e che si ispirano ad una mentalità e cultura caratterizzate dal relativismo, dal consumismo e da una falsa e distruttiva esaltazione, o meglio profanazione, del corpo e della sessualità” (Benedetto XVI).

Anche la Scuola, altra fondamentale agenzia educativa, mostra le sue carenze sul piano formativo. E’ emblematico quanto scrissero il Preside e un gruppo di docenti di un noto Liceo catanese ai loro alunni, che manifestando il loro disagio esistenziale, in seguito a tragici episodi di violenza, avvenuti a Catania, avevano chiesto risposte alle loro domande di senso della vita:  “Non possiamo, né vogliamo, darvi delle risposte (….). Proporvi, o imporvi, delle verità è integralismo, cioè barbarie (…)”. Il compito di questi professori si esauriva nella trasmissione di conoscenze nozionistiche. In quella stessa occasione, l’Arcivescovo Gristina, intervenne con un Messaggio alla Comunità proponendo un Patto educativo tra famiglia, scuola, comunità ecclesiale, istituzioni, per un lavoro formativo sinergico per rispondere al malessere dei giovani. 

Diogene andando in giro, con una lanterna in mano, diceva: “cerco l’uomo”. Oggi dovremmo dire: “cerco l’educatore”. Quale esito avrà la ricerca? E la comunità ecclesiale saprà raccogliere la sfida educativa?

Un commento su “Educare per non morire: violenze e femminicidi, un fallimento formativo

  1. La grande esperienza di Piero Sapienza come educatore lo porta ad una rigorosa disamina delle problematiche connesse con la formazione dei giovani. E la prima cosa che colpisce è la consapevolezza di una evidente difficoltà genitoriale ad assumere precise responsabilità nella formazione dei figli. A volte questa difficoltà si trasforma in arroganza colpevolizzando la scuola, scaricando, pertanto, su altri l’ incapacità a gestire le situazioni. La scuola, d’altra parte, non sempre è all’ altezza e, per il quieto vivere, evita di alimentare motivi di conflittualità, così come dice bene Sapienza. Oggi, il bullismo attecchisce con facilità e diventa la palestra dove apprendere ad esercitare violenza sugli altri, soprattutto nei confronti delle donne. Il problema sembra scalfire poco la classe politica, ma se non si pensa a una ripresa di principi e valori, attualmente perduti, siamo destinati a una irreversibile decadenza. Il problema della formazione sembra secondario rispetto a quelli stucchevolmente portati avanti da quasi tutti i partiti. Allora, forse, bisognerebbe cominciare a riformare la politica, ma non vedo pionieri all’ orizzonte.

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